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PREFAZIONI DILEMMA CARAVAGGIO

Prefazione
Questi scritti di Storia dell’Arte di Fabrizio Antonelli e Lucia Della Giovampaola hanno una particolarità che mi ha subito colpito, non li giudico dal punto di vista della Storia dell’Arte perché non sono uno storico dell’Arte però, come scrittore, ho notato il modo come sono affrontati e svolti criticamente i vari temi che man mano vengono proposti, il linguaggio che viene usato – quello se posso, direi che è insolito – e insolito anche, a mio parere, è l’approccio.
È un linguaggio da “absolute beginners”. È come se dietro i due autori non ci fossero tutti i libri che hanno sviscerato quel momento dell’Arte.
Gli autori di questi scritti sono del tutto autonomi, come se per primi avessero aperto gli occhi sui quadri di cui parlano, e nessuno prima di loro lo avesse fatto. E così i rapporti, le connessioni, le scoperte che essi fanno sono insieme “tecniche” e “immaginifiche”. Essi usano l’azzardo con disinvoltura. Insomma a me sembrano nuovi anche se non posso affermare per le ragioni che ho detto, che hanno imbroccato una strada giusta.
Ma certamente la loro è una strada originale, e se hanno ragione saranno gli addetti ai lavori a stabilirlo.

Raffaele La Capria

Prefazione
La storia più intima degli artisti come delle loro opere spesso si cela nei dettagli. E, spesso, i dettagli che sono l’indispensabile cerniera di apertura dei significati reconditi, sono invisibili. Per paradosso invisibili, perché troppo visibili o confusi con la loro mera apparenza.
Nella controversa storia delle interpretazioni concernenti le opere e la vicenda biografica di Michelangelo Merisi, la ricostruzione dei significati celati delle sue opere effettuata da Fabrizio Antonelli e Lucia Della Giovampaola apre scenari di letture escatologiche per i collegamenti filosofici che esplicitano. Con passione, gli autori presentano la figura di Michelangelo Merisi come uomo che fu da afflizioni disgiunto interiormente, tra dilemmi di diversa natura, spirituali ed esistenziali intrecciati a doppio filo. Padrone delle sue scelte in ambito dottrinale, politico, culturale. Artefice geniale, di una divisione diaristica insita nei vari cicli di opere che in tal modo permettono, a posteriori e sorprendentemente, di ricostruire stati d’animo e prese di posizione di grande coraggio e drammaticità.
La sua scelta di giungere a Roma come luogo di elezione intellettuale e riparo eventuale da parte dei mecenati privati, gli consentì la frequentazione dei salotti dei Palazzi Madama e Giustiniani nei quali non erano assenti riflessioni misteriosofiche. Ciò proprio su precise indicazioni e sostegni del cardinale Francesco Maria del Monte, il quale vigilava protettivamente anche su Galileo Galilei e sulle menti più aperte e lungimiranti della Roma del tempo. A Francesco Maria del Monte è data piena luce nel saggio e, infatti, non si potrebbe considerare la maturazione di Michelangelo Merisi senza l’influenza formativa di tal eccezionale mecenate, il quale aveva dialogato apertamente anche con Tommaso Campanella prima che quest’ultimo fosse perseguitato da una giustizia insensata; cardinale fuori dalle righe che praticava nel villino Ludovisi anche studi sulla convessità delle lenti ottiche e sulla chimica. Nel salotto culturale del cardinale del Monte il Merisi plausibilmente apprese nelle raffinate discussioni i vertici del pensiero di Giordano Bruno, il primato della ragione derivante dalla cultura umanistica, la luce quale principio divino, sino all’accoglimento di quella deduzione che potremmo definire percezione dell’infinità dell’istante e dell’istantaneità dell’infinito riscontrabile poi nelle opere del Merisi. Quel che viviamo è un punto, scrisse Giordano Bruno. E un particolare, assoluto presente, fu anche per il Merisi il parametro fondante sul quale ragionare. Saldamente inserito nel dibattito culturale più avanzato del tempo, al Merisi non saranno certo sfuggiti gli studi di Giovan Battista della Porta come il Magiae naturalis (1579), nel quale si trattava anche dell’utilizzo della camera oscura, e nell’epilogo della sua vicenda umana Michelangelo Merisi chiese collaborazione anche a Vincenzo Mirabella, altro scienziato i cui studi erano assai avanzati nell’ambito dell’utilizzo degli specchi e delle ottiche.
Se Roma fu essenziale per la crescita di Michelangelo Merisi, gli esempi pittorici sui quali deve aver meditato prima del viaggio a Roma furono visibilmente quelli del Moretto, del Savoldo, del Lotto, del Moroni, del Lomazzo, e inevitabilmente deve aver meditato su Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio, Tiziano Vecellio … per la solidità delle loro composizioni, lo scandaglio interiore, l’utilizzo delle luci quali metalinguaggio, l’incrollabile tensione della sua volontà sperimentale, avanguardia di ciò che non era stato sperimentato prima.
Il Merisi, così tormentato nella vita reale, forse non per caso, com’era tradizione per gli iniziati, fu poi chiamato con il luogo di presunta origine. Caravaggio, col suo cane nero detto Cornacchia si aggirava in una Roma violenta (si pensi già soltanto al supplizio dei Cenci), rispondendo alla violenza con violenza. Per indole, rispondendo alle sopraffazioni culturali con gli esiti sublimi della sua pittura nella quale si fuse in una visione bilaterale e trascendente di Ecce homo, poi anch’esso giustiziato in un antro oscuro della storia.
Come non vedere, in seguito ai vari legami ritessuti dagli autori, una memoria nelle opere di Caravaggio, finanche di una certa Alchimia o aurea Occulta Philosophia, così riccamente interpretata da Cornelio Agrippa il cui nome non aveva mai smesso di circolare nei dibattiti degli eruditi, e possibili conoscenze della Cabala il cui uso dei numeri tornerà anche nelle sue opere quale segreta indicazione simbolica? Affascinanti citazioni dell’intrecciarsi dei miti e dei significati che convergono in quella cultura classica impartita al Caravaggio dal cardinale del Monte. E ciò al Caravaggio giunse nondimeno dal fratello del cardinale Francesco Maria, da Guidubaldo, anch’egli rigoroso matematico e astronomo; ma essi fornirono all’artista, come già accennato, fonti oltre che scientifiche e filosofiche, anche per visioni trascendenti e sincretiste, lontanissime dalle cadute in banali conformismi imperanti nella loro epoca. Ne derivò una fusione armonica tra ideali pagani e cristiani. Per quest’altezza di vedute e per essere il più autorevole rappresentante della fazione francese contrapposta a quella reazionaria spagnola (la quale peraltro impedì al cardinale del Monte di ascendere al soglio pontificio così come molti cardinali volevano quali facenti parte del dissenso rispetto all’oscurantismo imperante), il cardinale del Monte subì successivamente alla sua morte un vero e proprio orchestrato tentativo di cancellazione dalla storia, disperse le sue memorie e le sue collezioni straordinarie. Si è poi obnubilato anche il percorso di Caravaggio. Per ricaduta, oltre che ovviamente per la sua triste dipartita che spezzò prematuramente il suo stupefacente percorso.
Nel saggio di Antonelli e Della Giovampaola la vicenda umana di Caravaggio, meditata in quella più vasta dell’umanità, è così palesata e metaforicamente aderente a quella della Canestra di frutta, nella quale l’umana sorte è inserita, in uno spirito vitale che racchiude tutte le contrapposizioni in una perenne condizione di equilibri precari. Che tale similitudine torni a manifestarsi con accezioni diverse, sistematicamente in tutte le opere del Merisi, ciò risulta coerente, chiaro nel suo semplice apparire ai nostri occhi. Le specchiature del Narciso, della Medusa, il vedere con gli stessi occhi interiori dell’artista diviene via via una pulsante interpretazione del suo percorso creativo legante molti più temi e riflessioni di quelle che appaiono in uno sguardo unidirezionale e ristrettamente naturalistico della sua poetica. Gli autori del saggio giungono a similitudini processuali del pensiero di Michelangelo Merisi con quello di William Shakespeare e traducono in modo calzante definizioni escogitate da Pier Paolo Pasolini, che ben riconducono esplicite importanti intenzioni di Caravaggio e rendono al lettore odierno vicini, i turbolenti moti dell’anima e le sofferenze dell’artista e di non estinguibili effetti le sue istanze. Nella prospettiva di una mescolanza di suggestioni affascinanti, tanto più, perché coltivate in un secolo di terribili sopraffazioni e oscurità dottrinali, le contiguità del Merisi con un ricco bagaglio di ermetismo lo conducono a offrire perennemente attuali e aperte, le domande e le risposte che muove, lasciando tracce leggibili a fruitori edotti; nella fattispecie, la degenerazione degli elementi della materia e la lotta esistenziale furono un supplizio emblematico che l’artista attraversò conducendosi alla piena coscienza delle cause essenziali, attraverso l’ultimo periodo tragico della sua vita, come nel corpo inviolabile del Cristo della Flagellazione. Caravaggio realizzò una diversificazione tra spirito splendente e inviolabile e corpo doloroso, quest’ultimo rappresentato da una colonna segnata, un peso minerale che l’anima lascia alle sue spalle nell’approdo dell’agognata rinascita. Temi questi che il Merisi mutuò ed elaborò sia in Lombardia, negli echi delle conversazioni dirette dall’Abate dell’Accademia dei Facchini Giovan Paolo Lomazzo, sia nel salotto culturale del cardinale del Monte; da tali ambiti Caravaggio recuperò e filtrò la cultura umanistica derivante da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, il Neoplatonismo, l’Orfismo, una cultura molto complessa che gli permise di emanciparsi completamente dai dettami restrittivi della Controriforma le cui emanazioni furono mezzo di controllo coercitivo voluto da un’evidentissima decadenza del cattolicesimo, sempre più interessato al potere secolare che al compito spirituale di guida liberante le forze migliori in ambito sociale e intellettuale. Antonelli e Della Giovampaola descrivono dunque un autore ben diverso dal rissoso e sregolato personaggio che tanta riduttiva letteratura di tardi epigoni del romanticismo ha tramandato. Il recinto delineato per le arti visive nel Concilio di Trento, rappresentò una pesante cappa discendente sull’autonomia creativa, che ha tarpato le ali all’arte italiana con incalcolabili danni culturali. Federico e Carlo Borromeo,  il  cardinale  Gabriele  Paleotti, conoscendo il potere di comunicazione sociale dell’arte vollero, infatti, imballare l’arte visiva, ridotta ad essere solo meramente decente ed esteriormente bella nella sua fatuità e innocuità. Sminuizione di ogni tentativo di lettura interiorizzante, filosofica o politica, da parte degli artisti, condizione alla quale il Merisi si ribellò con tutta la sua forza. Ben sapendo che essa- l’arte visiva- era peraltro l’unica lingua che le popolosissime frange delle basse caste sociali, nient’affatto letterate, potessero recepire.
Opere cruciali come il Martirio di Sant’Orsola rappresentano la chiave di volta per l’interpretazione effettuata da Antonelli e Della Giovampaola, trasferimento di comunione di sorti e sensazioni che connota elementi reali e condivisi tra soggetto e biografia tragica dello stesso autore. Da ciò si genera la teoria del Modello / Tramite, che diviene l’unica traccia memorabile delle segrete e terribili vicende che lo riguardano. Personaggio invidiato e temuto per la forza del suo pensiero, Caravaggio, che è stato così imitato è stato di pari passo frainteso come pochi. Ma l’intuizione degli autori del Modello / Tramite decripta non soltanto uno, bensì vari ambiti dell’opera di Caravaggio. Esso può quindi essere utilizzato biograficamente in un doppio livello di lettura dialogando per similitudini con la storia; nel caso preso in esame nel quale il Modello / Tramite sia utilizzato per sembiante, Caravaggio può presentare due diversi destini che in un determinato exemplum figurativo s’incrociano permettendo di comunicare letture riservate a pochi esegeti; c’è poi l’individuazione di un Modello / Tramite in senso tautologico in funzione di critica sociale laddove dal tema rappresentato traspaiano in profondità intenzioni del tutto opposte ai voleri della committenza, del tutto adatte a smascherare le ipocrisie del potere controllante con inganno uno stato di cose immutabile; ed infine un Modello / Tramite che si costituisca per nominalismo così come accade in unicum nella Decollazione di Giovanni Battista firmata nel sangue. Il lavoro degli autori appare, in queste determinazioni, originale, di argomentata classificazione. Ma nondimeno il saggio offre una soluzione di lettura poetica come si nota piacevolmente in certi passi quali ad esempio l’interpretazione della catena interrotta del samsara, ciclo di rinascite legato all’Anima Mundi posto quale significato della collana spezzata della Maddalena. Tali esiti sono privilegio di una concezione sensibile della traduzione visiva, sono passi di lirica e delicata letteratura che permettono al lettore di muoversi con fine profondità di collegamenti senza pregiudizi.
Quel tragico epilogo dei temi trattati che appare nelle opere del Merisi trapela come sentitamente ineluttabile anche per l’artista. Il suo temperamento indipendente ma anche nevrile, come appare del resto anche dalla fisionomia dei suoi autoritratti, lo portò, prossimo alla fine, ad accettare la morte lasciandone traccia nelle sue opere, evidentemente conservando un anelito di prosecuzione ideale, spirituale, poeticamente orfica. La conoscenza impastata alla sofferenza terrena nel Caravaggio si mostra come atto di dono e ricezione dell’amore in una Malinconia mortifera o salutifera che l’artista stesso provò in diverse accezioni durante tutto il suo ruvido ma luminoso percorso. Per questo l’immagine più concreta di Caravaggio è quella che appare nelle opere, piuttosto che quella che ha attraversato la vita reale. La sua opera omnia fu pertanto per lui una modalità complessa di purificazione della realtà, dell’innalzamento spirituale dell’artista nella collocazione della sua effige all’interno delle sue opere. Certamente Caravaggio deve aver riflettuto anche sull’impiego metaforico di elementi non censurabili ma altamente simbolici che già Giovan Ambrogio Figino aveva inserito nel suo dipinto Piatto metallico con pesche e foglie di vite aggiungendo un approccio di vero e proprio mascheramento del soggetto raffigurato, modus operandi che utilizzò appieno il Merisi per pervenire a significati alti come quello, prospettato in conchiudimento dagli autori del saggio, delle suggestioni orfiche di trasfigurazione, nella memoria sotterranea dei mai dimenticati Misteri eleusini. Giovanni Reale ha scritto riguardo all’apparire della dottrina orfica nel VI sec. a.C.: […] il nuovo schema di credenza consiste, dunque, in una concezione “dualistica” dell’uomo, che contrappone l’anima immortale al corpo mortale e considera la prima come il vero uomo o, meglio, ciò che nell’uomo veramente conta e vale. Si tratta di una concezione, come è stato ben notato, che inserì nella civiltà europea un’interpretazione nuova dell’esistenza umana. Che questa concezione sia di genesi orfica non parrebbe cosa dubbia.1 […]
Col procedere delle spaccature nella vicenda biografica di Caravaggio la genialità della sua poetica e interpretazione del mondo non vennero meno, già inscritta nella parabola discendente delle sorti dell’artista l’opera Le sette opere di Misericordia, così come ci è presentata da Antonelli e Della Giovampaola, contiene un messaggio di una carità di facciata, l’aggiramento delle vere soluzioni dei conflitti e delle sofferenze umane per un teatrale effetto scenico di generosità fatue, anzi strumento di perpetuazione dello status quo delle miserabili condizioni umane, delle frammentazioni bloccate delle caste, delle presunte ipoteche sull’emendazione dalle responsabilità in visione di un giudizio ultraterreno. E passi del saggio che presentano una Lucia / Kore quale esempio di continuità dei miti radicati, com’è avvenuto nella coscienza collettiva del culto degli dei trasposto nelle figure dei santi e l’adesione a una concezione di purezza della povertà mutuata dall’Orfismo ed anche dalla via di depurazione ed elevazione per suo mezzo indicate da San Francesco o dall’Imitatione Christi, fanno di Caravaggio un impegnato osservatore, anche antropologicamente, misticamente preparato. Non a caso scelse di dipingere il martirio della santa utilizzando in parte la terra estratta dal luogo della sua sepoltura portando a sacralizzare l’opera per mezzo della presenza della stessa natura, appunto in quell’Anima Mundi in cui si era fuso il corpo di Lucia che la vedeva ora rinascere nell’immagine ricreata dall’artista.
Nel saggio emergono inoltre con intelligenza associativa fluide letture comparate di opere che assimilano il gesto del Cristo della chiamata alla vita nella Resurrezione di Lazzaro, così come nella Vocazione di San Matteo alla rinascita nello spirito, con evidenti riprese dal gesto divino presente nella Creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti, come per continuità ideale, citato da Michelangelo Merisi. Mentre il tema più volte mostrato della rinascita, di accennata derivazione orfica, è riscontrabile nel teatro della morte e del dolore più volte inscenato da Caravaggio, nel quale esso stesso muore più volte e ricompare, attraversando in tal modo esso stesso la sofferenza dei miseri, risollevandosi e provando su di sé il post mortem, una sorta di sua riscontrabile resurrezione.

G. Murasecchi

1 Giovanni Reale. La novità di fondo dell’Orfismo, in Storia della filosofia greca e romana vol.1. Milano, Bompiani, 2004, pp. 62-3
“… in picturis iam non pictori, sed naturae  prope aequali” (epitaffio di Marzio Milesi per la morte di Michelangelo Merisi da Caravaggio,  18 luglio 1610)



PREFAZIONE degli autori
Il favore di pubblico di cui gode nel tempo l’argomento Michelangelo Merisi, in qualsivoglia forma venga presentato, è sempre  e comunque scontato.
Dovuto alla grandezza e alla modernità del “genio”.
Il successo, però, è talmente costante, che induce a credere che ci sia qualche ragione di più a giustificarlo: l’attrazione per chi ha avuto una vita, seppure disgraziata, tuttavia, degna di essere vissuta.
Cercare i motivi di una simile “attrazione generale”, quasi si trattasse di analizzare una domanda di mercato, comporta qualche rischio. Viene il dubbio, infatti, che la modernità potrebbe aver eliminato una parte di verità dalle nostre vite. E, dunque, per confrontarci con una vita autentica, potremmo aver bisogno di recarci al museo.
Certo, è anche questo il compito dell’arte - intervenire nei campi più disparati: politica; ambiente; religione; filosofia … - insomma, intervenire nei fatti della vita. La vita  vera. Ovvero, tutto quello di cui si è occupato il Merisi, tre secoli prima della nascita della sociologia, per esempio.
Scopriamo, però, che la storia continua a vendicarsi di  Caravaggio, che alla storia preferiva il mito.
La storia, lo fa vittima di nuovo. Questa volta, coi numerosi pregiudizi che anche la “critica” dimostra di avere nei suoi confronti. E che hanno impedito di fare chiarezza sulla sua personalità, sui motivi della  poetica, sulle idee.
Dobbiamo chiederci, allora, come si giustifica il successo di un artista totalmente frainteso, totalmente incompreso.
Il cui perenne altalenare tra gloria e martirio, anche dopo morto, potrebbe essere dovuto, proprio, a questa contraddizione tra successo e incomprensione. Pur rammentando, che non c’è vera gloria senza martirio.
Probabilmente, aveva ragione lui, quando chiamava in causa il “dilemma”. Argomento condiviso dal suo contemporaneo William Shakespeare: essere o non essere, sintesi della vita in bilico come nella Canestra di frutta.
Il suo, continuerà ad essere il successo incontrastato di un  ”personaggio difficile”, i cui aspetti meno convenzionali sono però in molti  a mettere ancora in discussione.
Infatti, nel corso di quattrocento anni, si è andati giù pesanti, con Caravaggio. Si è andati di mannaia. Anche, per ragioni di natura “politica in senso lato” e che esulano completamente dal personaggio.
“D’accordo: il genio. Ma i vizi?, l’indole assassina?”, chiede il ben pensante.
Per quanto riguarda i pregiudizi sessuali, possiamo liquidare la questione come si fa e va fatto, sia allorché si è in presenza di atteggiamenti omofobici, sia quando si tratta di pruderie.
Ma non possiamo comportarci, allo stesso modo, dinanzi  alla formula fuorviante e maledetta di “genio e sregolatezza”. In questo caso, c’è l’obbligo di dimostrare la sua falsità.
Così, che agli eccessi e alle ingenuità che ha compiuto e di cui è stato vittima Caravaggio, all’arroganza  dimostrata nel difendere le sue idee, alla violenza inferta e subita, sarà  possibile dare ben altro giudizio.
La formula maledetta è colpevole di aver deformato il “personaggio” e l’intera sua storia. Rimasta intatta nel suo splendore artistico, ma muta e offesa per le  interpretazioni tanto fasulle  quanto stupide. Noi siamo sicuri, invece, d’aver assolto al compito di una restituzione ad integrità. Ma, di più, siamo sicuri d’aver trovato, grazie a Caravaggio e all’interpretazione delle sue opere, un metodo d’indagine che ci ha permesso di decifrare  i linguaggi pittorici, le scritture “imaginarie”, e l’arte … di tutti i più grandi artisti del passato.

Fabrizio e Lucia

 




 
 
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